3 Febbraio 1968 – Tullio Serafin: una bacchetta magica le cui stelle brillano ancora oggi, a cinquant’anni dalla sua morte.
“In Tullio Serafin dobbiamo riconoscere un artista di alto livello, cioè che si stacca dal comune e come in un gioco magico, trasforma il mentale in divino”. Con queste parole estratte da un articolo del “Sette giorni” del 20 febbraio 1964, voglio descrivere la longeva carriera di uno dei più grandi direttori d’orchestra del secolo scorso, riportando alcune delle tante recensioni comparse a seguito della sua ultima direzione a Roma.
Trasformare il mentale in divino, ossia portare le emozioni che il Maestro provava nella sua mente in uno stato sublime attraverso la musica. E ci è riuscito fino al 1964 con “I Maestri cantori di Norimberga” di Wagner diretti al teatro dell’Opera di Roma. Una caratteristica che Serafin non perse mai nel corso degli anni: un’amore fatto di rispetto e dedizione verso la musica intesa sotto qualsiasi aspetto, dalla partitura al libretto, dalla scelta delle voci alla loro preparazione.
Una carriera che ebbe inizio al Teatro Reinach di Parma nel 1902, per poi affermarsi subito al Teatro Comunale di Ferrara, anche se il maestro prese in mano la sua “Bacchetta magica” (così viene definita da molti) già nel 1898 con lo pseudomino di Alfio Sulterni, in quanto non poteva assumere incarichi ‘personali’ essendo ancora studente del Conservatorio di Milano. Dal 1902 al 1964 Serafin non smise mai di trasferire dal suo cuore al cuore della gente attraverso le voci amalgamate agli strumenti musicali, la sua grande arte, indimenticabile ed ancora troppo poco ricordata.
Fu costretto a lasciare il podio nel 1964 durante le recite de “I Maestri cantori di Norimberga”, ma fino a questo momento diede ancora modo alla critica musicale del tempo di scrivere su di lui, sulle sue doti, sulla sua coerenza musicale e di uomo. Quell’uomo che spese tutta la sua vita nel contribuire ad elevare i più grandi teatri del mondo ad un livello musicale tra reale ed ideale, attraverso direzioni egregie sempre effettuate con magistrale rispetto per la partitura.
Così scrive la testata “Avanti” del 26 febbraio del 1964: “Unico superstite dei grandi Wagneriani di allora – Teatro affollato alla prima. Serafin si e prodigato con inesauribile energia per la miglior riuscita dello spettacolo. Serafin ha concertato con quella chiarezza e sicurezza che tutti gli riconoscono ed è riuscito a scegliere con molta naturalezza quella aggrovigliata matassa che è il discorso orchestrale de “I maestri cantori di Norimberga”. Energia del maestro per la musica, per quella concertazione chiara e sicura che tutti gli riconoscono. A questo si può aggiungere: “…che tutti dovremmo ancora riconoscergli…”, approfondendo uno stile o meglio alcune nozioni che sarebbero molto utili ai giorni nostri e che lui scrisse, disse, e portò in musica fino a poco più di cinquant’anni fa.
Il “Messaggero” del 26 gennaio 1964 dice: “…spettacolo affidato alle cure di un grande nome quale è quello di Tullio Serafin, il quale rammenta tuttora a mezzo di un gesto che nella tranquillità di oggi svela grandi segreti, le grandi edizioni di un tempo purtroppo lontano. E ieri l’opera è ricomparsa nel suo clima, col suo avvincente legame alla tradizione. Un nome che non si dimentica quello di Serafin” Anche queste righe portano una riconoscenza elevata per il grande Direttore. Un nome quello di Serafin che già nel ’64 non si poteva dimenticare e che ai giorni nostri deve essere ancora più ricordato, attraverso anche quel “gesto” svelatore di grandi segreti. La chiave di lettura della maggior parte di quei “gesti direttoriali” vengono conservati nei suoi spartiti e partiture custoditi presso l’Archivio storico Tullio Serafin e che presto, troveranno giusto studio con quell’amore che Tullio Serafin aveva e desiderava dagli altri verso la dea musica.
“Il tempo” del 26 febbraio 1964 scrive così: “C’era il maestro Serafin, direttore insigne, che pure alla sua tarda età ha dato prova di resistenza e abnegazione commoventi”. Il rispetto che il giornalista rivolge al Direttore è superiore ad ogni altra cosa, soprattutto dandogli quella riconoscenza attraverso la parola “insigne”, per poi arrivare a descriverlo con la parola “commovente”. Tullio Serafin sapeva trasmettere emozioni, sapeva far commuovere attraverso la sua semplicità, attraverso il suo spirito che andava all’unisono con la musica, è questa la vera scuola, il vero testamento morale che ha lasciato al mondo musicale.
“Il giornale d’Italia” del 27 febbraio 1964: “La veneranda età del maestro Tullio Serafin lo pone fuori e sopra ogni valutazione critica e ne fa piuttosto oggetto di meraviglia. Ma a lui certo dobbiamo questa edizione de I Maestri cantori di Norimberga in lingua Italiana anche se non tutto l’Italiano era più comprensibile del tedesco (ma è questione di curare la dizione); a lui che in tal modo riporta a vita una grande tradizione che egli stesso difese ed onorò con due non dimenticabili edizioni della “tetralogia” e che era stata abbandonata con grave danno nostro e delle opere di Wagner. E alla gratitudine si unisce lo stupore per il miracolo musicale che egli compie dirigendo”. L’umiltà e la devozione della critica verso un uomo che era già destinato a diventare storia della musica nel mondo. “Un miracolo musicale” unito allo “stupore” sono definizioni che ritroveremo ridondanti negli infiniti articoli di giornale che dalla fine del 1800 arrivano fino al 1964, e che dovrebbero proseguire oggi, dopo aver costituito un archivio che racchiuda il suo testamento, non tanto materiale, ma morale scritto negli spartiti che lui diresse e nella sua corrispondenza con i grandi compositori del suo tempo.
Nel “Momento sera” del 27/28 febbraio 1964: “La sola orchestra ha offerto una prestazione in tutto rispondente alle esigenze della partitura, per merito di Tullio Serafin. L’ottuagenario e illustre maestro ha dato ancora una volta prova della sua intramontabile ed eccezionale sensibilità musicale. Tanto può lo spirito sulla materia.” Intramontabile ed eccezionale sensibilità musicale, a far testamento del lavoro che anche oggi bisogna fare per portare alla luce il suo stile, il suo amore e rispetto verso la musica. Ma se già nel 1964 si scriveva “intramontabile”, credo che oggi a distanza di 54 anni dobbiamo difendere tutto ciò, dando una “nuova alba” alla memoria di Serafin.
“La riscossa cristiana” edizione dal 15 al 29 febbraio 1964 “Di grande prestigio ed effetto la direzione di Tullio Serafin”.
“Il Gazzettino dello Jonio” del 20 febbraio 1964: “… la pulita esecuzione dell’orchestra tenuta validamente sul filo della prodigiosa bacchetta di Tullio Serafin”. Sono frasi che ancora oggi, rileggendo e riscrivendo commuovono e fanno riflettere sul fatto che si sia scritto in questi ultimi decenni, così poco sul grande mito Tullio Serafin.
Dal “Corriere internazionale del teatro” febbraio 1964: “A consolazione dei wagneriani puri diremo che, a dirigere l’attuale edizione, è stato il grande e glorioso Tullio Serafin, specialista di questa opera per averne diretto altre e memorabili edizioni. La monumentale partitura wagneriana è esplosa sotto la sua prestigiosa bacchetta in tutta l’imponente grandiosità: ouvertures, arie temi, cantabili, tutto è stato irradiato dalla sensibilità musicale del maestro con una padronanza dell’orchestra che è rara riscontare in un’artista della sua non verde età e che, malgrado anni, mantiene intatta la propria giovinezza artistica”. Glorioso, prestigiosa bacchetta, sensibilità musicale, giovinezza artistica: non si possono trovare espressioni più grandi , che in questo articolo vengono ripetute a dismisura e che devono ripercuotersi nelle menti di musicisti, cantanti, critici musicali, musicologi, appassionati. E’ il vero amore di cui un’arte come la musica ha bisogno e, Tullio Serafin, né è stato per sessantasei anni l’artefice. Perché dimenticarlo? Sarebbe come ignorare la sua figura, proprio ora che abbiamo trovato il “diario” con i compiti per casa scritti da Serafin.
“Mondo lirico” di febbraio del 1964 “…la buona esecuzione degli orchestrali i quali sotto la direzione del maestro Tullio Serafin hanno eseguito i brani con abilità magistrali e con vero sentimento d’arte”. L’arte ha bisogno di sentimento, forse questa frase è la chiave di lettura della longeva carriera di Serafin. Se non c’è sentimento non c’è arte: un’ulteriore compito per casa che potrebbe essere scritto ancora adesso nei quaderni dei giovani artisti. Queste parole danno un’altra prova di come e quanto il maestro Serafin tenesse nel coordinare non solo la sua bacchetta e l’orchestra ma anche i cantanti che dovevano amalgamarsi con il suono degli strumenti.
Ho scelto di celebrare il Maestro Serafin con il suo “ultimo colpo di bacchetta magica” che ci ha regalato nel 1964 con “I Maestri cantori di Norimberga”, al Teatro dell’Opera Roma, sua città adottiva. Un colpo di bacchetta che dovrebbe brillare ancora, che dovrebbe riaccendersi per ispirare quella collaborazione degna di un grande nome, Tullio Serafin, che non è di nessuno se non della storia più elevata della musica nel mondo.
Quel 1964 è stato l’anno in cui Serafin decise di posare lo “scettro” (da mago quindi a Re per la musica) in una teca che oggi l’Archivio storico conserva. La magia della bacchetta termina il suo percorso e poco dopo anche la luce del suo cuore, compagna artistica, compagna d’amore e di carriera, compagna di vita fin dal 1914, si spegne a Roma. E’ il 4 novembre del 1964 ed Elena Ruzkovskaja poi diventata Elena Rakovska, muore a Roma ed oggi riposa insieme a lui e alla figlia Vittoria nel cimitero del piccolo paese natale di Serafin, Rottanova di Cavarzere in provincia di Venezia, grazie anche alla volontà di Luciano Guzzon, per trentacinque anni attento custode del materiale che ora trova posto proprio all’Archivio storico Tullio Serafin, associazione creata con i pronipoti del maestro, Jacopo e Federica Conte e con la presenza di altri soci fondatori.
“Io amo la musica. Oggi si ama poco la musica. Io l’amo profondamente. Per amarla bisogna anche soffrire ed io ho sofferto e soffro per la musica.” Tullio Serafin (da un’intervista contenuta nel CD “Grandi Maestri alla Scala”).