L’albero natalizio in casa del Maestro Serafin, un insieme di luci formato dalle stelle dell’opera

Notizie da New York dove il Maestro Serafin si trasferì nel 1924 dopo l’incarico al Metropolitan Opera House: “La primissima del 1924 e le stelle del 1928”

di Andrea Castello

Un simpatico articolo comparso sul “Corriere d’America” martedì 25 dicembre 1928, riportava come, oltreoceano, trascorreva il Natale il Maestro Tullio Serafin. L’articolo ritrae il simpatico “quadretto” natalizio che il Maestro preparò nel suo appartamento presso l’Hotel Ansonia (e non come riportato in modo italianizzato Ausonia) situato nell’Upper West Side a Broadway poco distante dal Metropolitan Opera House. Un hotel-residence tra i più lussuosi al mondo, che ha ospitato i più illustri personaggi dell’opera lirica: Toscanini, Stravinsky, Caruso e molti altri. Dopo il restauro del 1992, ospita lussuosi alloggi. 

A Natale del 1928 il Maestro aveva già trascorso quattro anni al Metropolitan Opera House come direttore d’orchestra, incarico affidatogli dall’allora impresario Giulio Gatti Casazza (Udine 1869 – Ferrara 1940) e che si concluse nel 1934. E’ doveroso accennare brevemente l’esordio Newyorkese di Serafin, approdato nella metropoli statunitense con l’incarico di direttore del repertorio inglese, spagnolo e italiano. Il suo debutto al Metropolitan Opera avvenne con l’opera Aida di Giuseppe Verdi il 3 novembre 1924, interpreti: Elisabeth Rethberg/ Frances Peralta/ Rosa Ponselle (Aida), Margarete Matzenauer/Ina Bourskaya/Jeanne Gordon/ Marion Telva/ Karin Branzell (Amneris), Giovanni Martinelli/Miguel Fleta/Giacomo Lauri Volpi (Radames), Josè Mardones/Leon Rothier (Ramfis), Giuseppe Denise/G. De Laura/Titta Ruffo/Michael Bohnen (Amonasro). Le recite in tutto furono sette.  Ecco alcuni passi di un giornale dell’epoca che, tracciano in modo perfetto la già nota personalità e grandezza artistica del Maestro Serafin.

Lawrence Gilman nell’Herald Tribune di New York:

“…È una personalità forte e autorevole. La sua volontà e il suo magnetismo coinvolgevano l’orchestra, il coro ed i cantanti principali ieri sera; ha cantato con loro, a loro, per loro; era ovunque nello stesso istante, persuasivo, propulsivo, dominante. Assicurò una prestazione di grande vitalità e potenza, brillante, massiccia, sonora, carica di energia…”.

Spesso sottolineo il rapporto che il Maestro Serafin aveva con i cantanti e che, in un certo qual modo, lo distinse anche dagli altri direttori d’orchestra della sua epoca che, forse, sono diventati più “popolari” anche per la loro esuberanza, oltre che per l’indiscussa bravura. Serafin era un Maestro lontano dai riflettori, con doti che lo distinsero e che dovrebbero essere prese in considerazione anche oggi, partendo proprio da queste parole: “…ha cantato con loro, a loro, per loro”. Non si può pensare solamente al suono dell’orchestra (molti giovani direttori d’orchestra dei giorni nostri lo fanno senza scrupoli, o meglio senza tener presente la fusione tra orchestra e palcoscenico) e all’aspetto fisico dei cantanti (moda di alcuni registi che forse dovrebbero fare i casting manager in agenzie di moda), ma alla voce, elemento essenziale che deve “arrivare” al pubblico, sia dal punto di vista emotivo, che del suono. “Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta ed il battito del cuore di chi ascolta” scrisse il grande Kahlil Gibran (1883 – 1931) e, sono pienamente certo, che il Maestro Serafin abbia fatto sua questa citazione, al fine di trasmetterla costantemente ai cantanti attraverso la sua indiscussa arte direttoriale e sensibilità artistica. Un impegno questo, che lo distinse per tutta la sua longeva carriera conclusasi a Roma nel 1964.

L’articolo della “prima” del Maestro Serafin al Metropolitan Opera House continua ancora e, questa volta, parla dell’accoglienza che ha ricevuto: 

“…Il nuovo direttore è stato accolto con grande cordialità dal pubblico e ha provocato una speciale dimostrazione di entusiasmo quando è apparso davanti al sipario dopo il finale del secondo atto – e questo benvenuto è stato ovviamente più di un omaggio dai suoi connazionali – dietro le ringhiere. La performance è stata stimolante, impermeabile alla superficialità… E’ stato un auspicabile inizio per la diciassettesima stagione del signor Gatti al Metropolitan, e se non fosse stato contento, avrebbe dovuto esserlo.”

Un inizio in grade stile diremmo oggi, che si estese fino al 1934, anno in cui fu nominato Direttore musicale ed artistico al Teatro Reale dell’Opera di Roma, ossia l’attuale Teatro dell’Opera.

Ma veniamo ancora al Natale all’Ansonia, alle luci che addobbarono l’Albero Natalizio che, in fin dei conti, è solo una metafora per indicare tutte le stelle dell’opera, del mondo politico e chissà quali altri personaggi, che presero parte allo scambio di auguri in casa Serafin-Rakowska. Anche con la festa del Natale viene messa in luce la bontà d’animo del Maestro riservata alle persone a lui più care, in un cordiale ambiente natalizio, da tipico veneto “bonaccione” come era spesso definito. Insieme alla moglie “la nota” (come tutti amano chiamarla) Elena Rakowska sposata nel 1915 e da cui nasce la figlia Vittoria, c’erano ospiti “piccini” figli di celebrità Newyorkesi e anche ospiti più adulti, che un figlioletto non avevano. Era una festa preparata ad hoc per tutti, grandi e piccoli, a cui venivano distribuiti i doni. 

Presente alla festa la Contessa S. E. Lilliana Teruzzi (Lilliana Weinman nata a New York nel 1892 e morta a New York nel 1987), consorte del Conte Attilio Teruzzi morto a 67 anni nel carcere di Procida. Una storia da approfondire. ma non in questo articolo di carattere natalizio. Posso solo anticipare (per dover di cronaca) che i suoi due figli presero il cognome della madre.   

Altri ospiti affollarono l’alloggio dei Serafin tra cui l’attore Ruggero Ruggeri (Fano nel 1871 – Milano 1953); il grande soprano Rosa Ponselle (Rosa Melba Ponzillo, Meriden 1897 – Baltimora 1981) che debuttò al Metropolitan nel 1918 e che, con Serafin, trovò il massimo della sua espressione vocale e, naturalmente, raggiunse l’apice della sua carriera artistica. Con la Ponselle c’era anche la figlioccia (se usiamo oggi questa esclamazione rivolta ad una bambina rischiamo una denuncia) Basiola, di soli otto mesi. Ecco da dove nasce il mito Rosa Ponselle:   

“Poi, nell’imminenza del mio contratto col Metropolitan, Gatti Casazza me l’aveva portata in Italia, e me l’aveva fatta sentire avvertendomi: <<Ha una voce stupenda; peccato sia priva di fuoco>>. Ma io capii subito che non il fuoco le mancava bensì la preparazione. Si trattava d’insegnarle a liberare il fuoco dalle ceneri”.

Da:   “Tullio Serafin il patriarca del melodramma” 

Ancora una volta, viene messa in luce la grande intuizione che il Maestro Serafin aveva verso i giovani cantanti. La Ponselle debuttò con La forza del destino di Verdi al Met a soli 21 anni e, da cantante potrei dire: “Rischioso, quasi da pazzi, esempio che ancor oggi non dovrebbe essere imitato, perché il ‘fuoco’ lo si perderebbe di sicuro e, di ‘Serafin’ (ahimè), ce ne sono ben pochi nei teatri”. Invece, da direttore artistico direi: “per dare dei ruoli bisogna conoscere la conformazione della corda vocale ed il repertorio adatto ai cantanti secondo la loro età, proprio per non vederli ‘decollare’ con facilità (magari anche per il fisico statuario voluto-desiderato da alcuni registi) ed ‘atterrare’ con altrettanta facilità, senza (nel maggior dei casi) probabilità di risalita. Non me ne voglia Gatti Casazza che però vide bene nel giovane Serafin, al fine di portarselo a New York e chiedendo a lui consigli per i cantanti che avevano perso il così chiamato “fuoco”. Siamo sicuri che i cantanti emersi dal Metropolitan Opera House dal ’24 al ’34 siano solo frutto dell’intraprendenza imprenditoriale di Gatti Casazza? Secondo me no!

Veniamo ancora alla nostra cena e metaforico albero di Natale, ed aggiungiamo al banchetto l’illustre tenore Beniamino Gigli (Roma 1890 – Recanati 1957) con la moglie Costance Cerroni (sposata nel 1915), insieme ai due figli che ebbe dalla stessa: Rina di nove anni (1916 – 2000) ed Enzo di sei anni (1919). C’era il tenore Giovanni Martinelli (Montagnana 1885 – New York 1969), salvato (e per fortuna direi ndr.) ancora una volta da Tullio Serafin; questa testimonianza toglie ogni dubbio:

“D’un altro tenore voglio ancora parlare, che sentii tanto tempo dopo le mie esperienze con Pozzo (nel 1908 mi sembra) e che contribuii a salvare. Era il tempo in cui lavoravo al Dal verme; e un giorno, mentre passavo da quelle parti, l’impresario Oreste Poli m’invitò a entrare in teatro, per ascoltare un giovane tenore su cui desiderava il mio parere. In teatro trovammo Zerboni, socio di Poli.
(Omissis)
Il tenore cantò, e canto malissimo <<Basta! – urlò Zerboni. – Puoi andartene! Già troppi soldi ho buttato via per te!>> Il giovanotto si mise a piangere. (Omissis) Chiamai accanto a me Poli e Zerboni e dissi press’a poco: <<Guardate che questo ragazzo possiede un’autentica voce da tenore; ma il suo maestro gliel’ha cacciata in giù, nello stomaco. Si tratta solo di impostargliela di nuovo. Fossi in voi lo affiderei a Mandolini (che quel giorno era presente all’audizione).
(Omissis)
<<Vuole occuparsi lei di questo ragazzo? – gli domandai. – Si tratta di tiragli su la voce; gli hanno insegnato a cantare facendo <<poropò, poropò>>; lei gli trasmetta un po’ del suo <<piripì>>. Io verrò ogni tanto a sentire i progressi. Poco dopo il ragazzo debuttava e proprio al Dal Verme. Si chiamava Giovanni Martinelli e divenne uno dei tenori più celebri, successore di Caruso al Metropolitan”.

Da: Tullio Serafin il patriarca del melodramma

Una cosa va sottolineata anche per fare chiarezza: Martinelli venne così “salvato” o forse, meglio ancora, avviato ad una giusta carriera grazie al Maestro Serafin che, in quel momento, era un giovane trentenne considerato già un ottimo punto di riferimento per le nuove voci e per coloro che dovevano scritturarle.  

Di questo particolare banchetto natalizio, ci lasciamo solo con la curiosità di quanto buoni siano stati i dolci italiani con qualche accento russo, preparati da Elena Rakowska, che sicuramente gli ospiti (molti dei quali non sappiamo chi fossero, ma sicuramente grandi esponenti del teatro e della politica) si sono gustati. Al termine dei festeggiamenti, quasi sicuramente, il Maestro Serafin riprese la sua concentrazione, anche perché di li a pochi giorni, il 15 gennaio 1929 doveva dirigere “L’amore dei tre Re” di Montemezzi all’Academy of Music di Philadelphia, con protagonista proprio Rosa Ponselle nel ruolo di Fiora.


Riflessioni spontanee da ‘giovane’ direttore artistico: audizioni e mode nel rispetto dei ruoli imposti dal teatro e….dai libretti

Nel caso in cui un cantante abbia qualche difficoltà durante l’audizione, esistono ancora Maestri che dimostrino un minimo di pazienza per capire dove sta il problema e quindi dare loro un’altra opportunità, oppure esiste sempre di più “avanti il prossimo, tanto dietro di te ce ne sono altri?”. 

Sono certo (anche per esperienza personale) che qualche audizione con la presenza di questi personaggi saggi e preparati esista ancora. Alcuni Maestri presenti alle audizioni fanno ripetere l’aria dando dei semplici suggerimenti ai cantanti oppure, nel momento in cui sentono alcuni suoni non del tutto a “fuoco”, danno alcuni utili consigli tecnici che, a volte, risultano essere subito efficaci. A seguito di pochi semplici consigli o nozioni in corso di audizione, si può anche verificare la ricettività di un cantante, ingrediente utile per l’eventuale scrittura in teatro. Tutto questo, però, non si può testare con le audizioni effettuate tramite l’invio dell’audio registrato (e naturalmente della foto intera…), moda sempre più incalzante in questi ultimi anni. A parer mio le audizioni (o prime audizioni) tramite audio sono una beffa, giustificata con l’escamotage di far risparmiare i giovani artisti nel viaggio, vitto ed alloggio. Anch’io ho provato l’esperimento e, posso garantire, che se entro breve non fossi partito per Roma per partecipare ad un concerto, avrei escluso cantanti che, ascoltati tramite audio, sembravano assai calanti e con voce priva di armonici. Davvero vogliamo far risparmiare i cantanti o, forse, non vogliamo sederci in teatro con la pazienza di ascoltare, anche per più giorni? Rimango del parere (forse antico) che il cantante va ascoltato in teatro (o sala acusticamente favorevole) sia perché una registrazione può essere facilmente modificata grazie alle nuove tecnologie, sia perché il cantante deve avere un primo approccio con i maestri che, se responsabili e preparati, valuteranno anche l’aspetto emotivo e, naturalmente, di preparazione. Non sempre per i giovani artisti c’è un risparmio inviando il file audio-video, in quanto spesso devono ricorrere (per far bella figura) al noleggio di una sala utile alla registrazione ad hoc e sostenere, quindi, delle spese. Rimane sempre una “moda” e come tutte le “mode” dovrebbe passare, soprattutto quanto in teatro ci troveremo voci che hanno bisogno di essere microfonate, con fisici da passerella che imitano i veri cantanti lirici e fieri del proprio aspetto fisico. 

Collegandomi a quanto appena scritto, rivaluterei (con una certa immediatezza) il vero significato del “Phisique Du Role”, che deve essere nettamente distinto dallo scegliere modelli da passarella, utili solo alle esigenze del regista. Alcuni registi (quelli moderni “eccitati” dalla fisicità) devono avere l’umiltà e il coraggio di dimostrare il meglio di loro stessi in palcoscenico, lasciando agli esperti di vocalità e repertorio la scelta dei cantanti. Con questo non voglio sembrare un “alimentatore delle ceneri” o di allestimenti ormai superati (forse), ma un “alimentatore del fuoco” nel rispetto delle “fonti”, ossia: dello spartito (inteso come musica, libretto e didascalie), del teatro e degli artisti. Sono consapevole che in questo modo i registi avranno meno probabilità di prime pagine sui giornali, ma credo anche sia molto più gratificante “guadagnarsi” un articolo senza mostrare costantemente seni, sederi, pettorali ecc… Una soddisfazione che non ha prezzo, ma solo voce e, naturalmente, arte di saper mettere in scena con ciò che si ha a disposizione. 

Sono pensieri liberi, forse dovuti anche al mio entusiasmo di “fare” opera senza umiliare gli artisti e senza dimenticare che nello spartito c’è scritto tutto; qualsiasi aggiunta deve essere motivata, qualsiasi finale riscritto deve essere approvato dal compositore…

Fonti:
Archivio storico Tullio Serafin
“Il patriarca del Melodramma” di Celli e Pugliese, ed. Coro e Fiore
“Tullio Serafin il custode del bel canto” di Nicla Sguotti, ed. Armelin Musica
“Grandi maestri alla Scala Tullio Serafin”, ed. Musica Classica