Omaggio in musica a due giganti veneti: Ecuba e OPV al Teatro Olimpico tra Malipiero e Serafin con il festival Vicenza in Lirica

In occasione del 50° anniversario della morte di Gian Francesco Malipiero, OPV eseguirà Ecuba del grande compositore veneziano al Teatro Olimpico di Vicenza, in occasione del festival “Vicenza in Lirica”.

A oltre 80 anni dalla prima esecuzione a Roma sotto la guida di Tullio Serafin, tra i più celebri direttori d’orchestra del Novecento, Ecuba incontrerà la prima esecuzione in tempi moderni in forma di concerto.

Domenica 11 giugno alle ore 21.00 presso il Teatro Olimpico di Vicenza, l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Marco Angius terrà la prima esecuzione in tempi moderni di Ecuba, tragedia in tre atti di Gian Francesco Malipiero. In occasione del 50° anniversario della morte del grande compositore veneziano, l’esecuzione di Ecuba in forma di concerto rappresenterà una vera e propria riscoperta di uno dei gioielli del considerevole catalogo di Malipiero. L’opera fu infatti tenuta a battesimo nel 1941, e mai più ripresa oltre la seconda recita, al Teatro Reale dell’Opera di Roma sotto la guida di Tullio Serafin, amico del compositore nonché tra i più celebri direttori d’orchestra del Novecento, altro importante musicista veneto nato a Rottanova di Cavarzere nel 1878.

L’evento si inserirà nell’ambito dell’undicesima edizione il Festival Vicenza in Lirica, ideato e promosso dall’Associazione Concetto Armonico con la direzione artistica di Andrea Castello, Presidente dell’Archivio Storico Tullio Serafin.

Insieme a OPV si unirà il coro Iris Ensemble preparato da Marina Malavasi e un cast vocale formato da alcune tra le più interessanti vociYuliya Pogrebnyak (Ecuba), Laura Polverelli (Polissena), Graziella De Battista (una servente), Paolo Leonardi (Ulisse), Patrizio La Placa (Taltibio), Michele Soldo (Agamennone) e Bruno Taddia (Polimestore) che subentra ad Alberto Mastromarino, impossibilitato ad esibirsi a causa di un improvviso aggravamento di una forma influenzale.

Il Festival gode del sostegno del Ministero della Cultura, del sostegno e collaborazione del Comune di Vicenza e di AGSM AIM, del patrocinio della Regione del Veneto, del Teatro La Fenice di Venezia, del Comune di Sabbioneta e della collaborazione con l’Archivio storico Tullio Serafin.

Prenotazioni ed informazioni: 3496209712 – biglietteria@vicenzainlirica.it

Biglietti: Biglietto intero Settore unico € 40,00; Biglietto ridotto Settore unico € 30,00; Biglietto convenzionato Settore unico € 27,00; Biglietto giovani Settore unico € 15,00


PROGRAMMA

Teatro Olimpico di Vicenza

Domenica 11 giugno 2023, ore 21.00 (in forma di concerto)

Ecuba

tragedia in tre atti da Euripide

musica e testi di Gian Francesco Malipiero

prima rappresentazione assoluta: Teatro Reale dell’Opera, 11 gennaio 1941 diretta dal M° Tullio Serafin

Personaggi ed interpreti:

Ecuba, Yuliya Pogrebnyak

Polissena Laura Polverelli

Una servente Graziella DeBattista

Ulisse Paolo Leonardi

Taltibio Patrizio La Placa

Agamennone Michele Soldo

Polimestore Bruno Taddia

Orchestra di Padova e del Veneto

Maestro direttore e concertatore Marco Angius

coro Iris Ensemble

maestro del coro Marina Malavasi

Immagine di: Ludovica Borile


NOTE DI SALA

Con la tragedia in tre atti Ecuba (1941), da Euripide, su propria libera traduzione in italiano, Malipiero mette ulteriormente a fuoco un aspetto cruciale della sua produzione musicale: quello del teatro onirico, iniziata nel 1914 col Sogno di un tramonto d’autunno da D’Annunzio e che quasi contestualmente proseguirà con La vita è sogno (1941, da Calderón de la Barca) e l capricci di Callot (1942, da E. T. A. Hoffmann). È anche drammaticamente simmetrica la tragicità degli eventi cui risale la composizione dell’Ecuba rispetto ai giorni che viviamo oggi, fatti di città assediate e rase al suolo come l’antica Troia, ai cui piedi si svolge l’azione, di violenze che rendono contemporanee le vicende narrate prim’ancora che nell’opera di Malipiero, nelle trame euripidee.

L’aspetto visionario dei soggetti classici scelti da Malipiero s’intreccia con la sua poetica e col suo modo di comporre che ne fa un caso unico rispetto ai suoi contemporanei: egli lavora per giustapposizione di immagini sonore secondo una modalità intuitiva che utilizza liberamente i materiali musicali realizzando un tessuto cangiante, fatto spesso di salti armonici improvvisi, di silenzi, di vertigini del vuoto. Malipiero preferisce infatti accostare blocchi sonori indipendenti disponendoli secondo un’imprevedibile successione: ciò produce, su un piano strettamente drammaturgico, dei cambiamenti di umore e di clima improvvisi, sia pure in una concezione fluida e omogenea dei processi discorsivi. Da un punto di vista musicale siamo di fronte a una trasformazione irreversibile della logica discorsiva in cui non si torna mai al punto di partenza ma gli elementi riappaiono sempre lievemente variati in un inestricabile groviglio ai limiti del situazionismo.

L’utilizzo frequente di ripetizioni di incisi motivici e di una quasi sistematica duplicazione metrica, lo avvicina molto al mondo sonoro di Debussy, compositore peraltro ammirato da Malipiero e verso il quale doveva provare una sintonia concettuale molto forte. Ciò si nota, per esempio, nelle successioni accordali dell’Ecuba che si basano su una sensibilità immanente, immediata quanto non misurabile in termini statistici e analitici. Ma potremmo citare anche altre affinità, per esempio con Erik Satie nella fine del primo atto e soprattutto nell’inizio malinconico del secondo.

Il principio della ripetizione, oltre a determinare una riconoscibilità degli elementi sintattici, viene spesso usato per creare degli ostinati su cui innestare lunghi racconti, come quello di Ecuba ad Agamennone, nel secondo atto, per informarlo dell’omicidio del proprio figlio Polidoro a opera di Polimèstore, omicidio che determinerà l’atroce vendetta di Ecuba e delle schiave troiane (culminante con l’uccisione dei due figli di Polimèstore e del suo accecamento nel terzo atto).

La danza funebre che chiude il primo atto, inoltre, permette al compositore di avvicinare un’idea di teatro totalizzante che punti alle origini della rappresentazione senza risentire di tentazioni post-wagneriane e soprattutto allontanando lo spettro della temperie verista, quanto mai estranea ai suoi obiettivi di rinascita della tragedia in musica.

Questi obiettivi erano fortemente sentiti dall’inizio degli anni ‘30 e ciò che si identifica come parabola neoclassica in Stravinskij, trovava in Italia, con musicisti come Casella, Respighi e lo stesso Malipiero, un diverso orientamento stilistico e critico, attento agli influssi europei ma anche sufficientemente impermeabile a essi.

Bisogna osservare che il libretto dell’Ecuba, al contrario di quello quasi coetaneo de La vita è sogno, presenta alcune ingenuità nel taglio formale e nelle scelte testuali rispetto all’originale euripideo: non dobbiamo dimenticare che la composizione nasce come musica di scena realizzata nel 1939 per le rappresentazioni dell’omonima tragedia a Siracusa, su libretto di Manlio Faggella. Questo materiale originario viene travasato integralmente nell’opera e conoscerà ulteriori successive trasformazioni fino alla scena conclusiva di Polimestore, ristrumentata nella tarda silloge de Gli eroi di Bonaventura (1969).

A dispetto di un libretto crudo e realistico, in particolare nella descrizione dello sgozzamento a opera di Ulisse della figlia d’Ecuba, Polissèna, che occupa la prima parte del secondo atto nel racconto tormentato di Taltibio, la vocalità dei personaggi sembra invece andare nella direzione opposta al dramma, verso un declamato sillabico e dialogico da cui sono assenti declinazioni liriche e perfino ariose. Semmai, una ricorrenza di motivi melodici o ritmici legati ai personaggi (le fanfare che annunciano Ulisse o Agamennone, la sinuosità danzante che accompagna Polissena), è affidata invece alle linee orchestrali. Traspare inequivocabile l’impegno coevo nell’elaborazione delle opere monteverdiane e l’attenzione verso una comprensibilità del testo che trascenda intenti meramente descrittivi. Inoltre l’incontro e l’ascolto del Pierrot lunaire di Schönberg nel 1924 non è passato invano: ciò si può riscontrare in alcuni richiami all’intonazione parlata e perfino sussurrata presenti nella partitura che s’incarnano nei deliri a occhi aperti di Ecuba e nelle sue visioni premonitrici, così come in quelle finali di Polimèstore. Non dimentichiamo che Malipiero dedicherà proprio a Schönberg la sua ultima composizione per orchestra, Omaggio a Belmonte (1971) e il legame tra i due andrebbe approfondito, considerando l’intenzione del padre della Seconda Scuola di Vienna di volersi trasferire proprio in Veneto dopo le visite ad Asolo.

Il coro femminile che conclude gli atti e divide simmetricamente il secondo e il terzo di essi, presenta caratteri quasi pre-raffaelliti, fortemente diatonici, che ricordano non a caso un lavoro come La damoiselle élue dello stesso Debussy (1887): sono interventi brevi e fuori del tempo e dello spazio, che rispettano la concezione greca di commento alle vicende sceniche e al tempo stesso se ne distaccano in modo metafisico.

In questo tentativo di trascendere il mito e nello stesso tempo renderlo attuale secondo l’idea nietzscheana degli eterni ritorni, sta forse la maggiore prossimità tra Malipiero e De Chirico. Non è un caso che l’Orfeide, trilogia composta a metà degli anni ‘20, richiami un costante sguardo del compositore veneziano al tema delle voci d’Orfeo e della rivisitazione surreale del mito in chiave moderna.

Forse proprio da questa Ecuba del Teatro Olimpico, e dalla contestuale integrale sinfonica appena avviata a Padova, ripartirà nel 2023 una autentica, auspicata Malipiero renaissance?

Marco Angius